In seguito alle recenti evoluzioni nel campo delle biotecnologie ed alla crescente attualità di vegetali modificati geneticamente (O.G.M.), si presenta la necessità di riconoscere quei prodotti di cui viene manipolato il DNA, cioè il codice genetico. Tali modificazioni sono apportate al fine di conferire alla pianta una serie di caratteristiche desiderabili es.: aumentarne la resistenza ai parassiti o ai pesticidi, migliorarne la conservabilità o le caratteristiche nutrizionali.
Attualmente in Italia è consentita solamente la commercializzazione di alimenti geneticamente modificati quali soia, mais, colza e loro derivati ma molti altri prodotti sono in via di studio. La legislazione vigente a livello europeo (Direttiva 90/220/CE e Regolamento CE n° 97/258) prevede che la presenza di OGM negli alimenti sia indicata in etichetta.
In risposta a queste esigenze il nostro Laboratorio ha sviluppato un metodo analitico per l’identificazione di DNA geneticamente modificato su matrici vegetali quali soia, mais, pomodoro, patate, arachidi, e sta approfondendo lo studio su molti altri prodotti in commercio.
Per ciascuno dei vegetali in analisi si è messo a punto un metodo specifico che permette di estrarre il DNA e, secondariamente, di verificare l’eventuale presenza di modificazioni genetiche nell’alimento. La tecnica utilizzata è quella della PCR (Polimerase Chain Reaction) che rende possibile l’amplificazione della sequenza di DNA modificata e la sua successiva rivelazione su gel di agarosio. La presenza di una banda amplificata a confronto con una banda transgenica positiva indica che il prodotto ha subito manipolazioni genetiche. Per la maggior parte delle matrici vegetali in commercio è possibile realizzare un test di screening generico sulla transgenicità, in più per alcuni vegetali quali soia, mais e pomodoro, si possono effettuare ricerche di specifiche sequenze modificate.
Si possono perciò analizzare diversi tipi di alimenti tenendo presente che l’analisi è sempre possibile sul vegetale così com’è, mentre sul prodotto lavorato è possibile solo nel caso in cui il processo di trasformazione non abbia irrimediabilmente degradato il DNA genomico.